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LA MIA CUCINA

Dosi per: 10


per l’impasto (pasta violada):

500 gr. farina di semola fine

50 gr. strutto

250 gr acqua (oppure 150 acaqua più tre uova facoltativo )

5 gr sale;


per la farcia:

1 kg formaggio fresco di pecora acido

2 limoni solo scorza o arancio

200 gr semola

100 gr acqua

100 gr


per la frittura:

olio extra-vergine di oliva,

guarnizione:

miele di corbezzolo o castagno

Esecuzione:

ripieno: nella casseruola mettere il formaggio tagliato pezzi con acqua e la scorza grattugiata del limone, mescolare con un cucchiaio a fiamma bassa. Quando il formaggio sarà completamente sciolto, aggiungete la semola  (l’acqua in eccesso deve asciugarsi). Lasciar riposare il formaggio fuso su carta da forno per circa 30 minuti.

Pasta violada: stendetela la pasta allo spessore circa 3 mm. Coppare la pasta (dischi) 10-12 cm. Al centro di ogni disco adagiate il formaggio e sovrapporre un altro disco, sigillare bene.

Assemblaggio: Versare in olio bollente 170°C  la seada, cuocere senza girare, ma con l’aiuto di un cucchiaio versate l’olio sulla pasta, creando bollicine sulla pasta. Scolare e servire con miele.

Note:

la seada sarda è un prodotto PAT sardo,  deriva dalla cucina “povera”, originaria delle zone interne della Sardegna, la Barbagia, l’Ogliastra, la Gallura e il Logudoro. La seada sarda è un piatto che veniva preparato dalle donne per festeggiare le ricorrenze speciali, come il Natale o la Pasqua, ossia quando i loro mariti pastori rientravano dai lunghi periodi di transumanza. Le seadas nascono salate ed erano grandi quanto il piatto,  perché all’epoca le mogli dei pastori dovevano appagare loro dal rientro della transumanza. Col passare del tempo, si è pensato di farlo diventare un dolce aggiungendo il  miele  al corbezzolo oppure al castagno e riducendo la dimensione delle forme. In base alla zone prende il nome di Seada, sebada, seatta, sevada. Per il ripieno a base di formaggio  pecorino sardo non salato, il segreto è che deve essere freschissimo e acidulo al punto da filare dopo la cottura: un tempo, per farlo inacidire le donne della Sardegna lo avvolgevano in un panno umido e lo lasciavano riposare per almeno due giorni.

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